Chi scrive ha amato pazzamente,qualche anno fa, “Noi siamo infinito”, film debutto di Steven Chbosky, tratto dal suo omonimo bestseller letterario, romanzo di formazione diventato un cult per migliaia di giovani nel mondo. Ovvio quindi che l’opera seconda da regista del nostro rischiasse di deludere. Invece con “Wonder”, il regista colpisce ancora nel segno, imbastendo un’altra storia di crescita tratta dall’omonimo romanzo di R.J. Palacio.

August, detto Auggie, è un bambino di 10 anni nato con una serie di malformazioni dell’organismo. Quella più visibile è una deformazione del volto, che lo porta ad essere fissato da tutti. Dopo anni di studio casalingo con la mamma (una splendida, intensa Julia Roberts), viene iscritto alla prima media. Chiaramente viene guardato come un mostro da tutti gli altri bambini e diviene oggetto di derisione da parte di alcuni di loro. Nonostante il supporto della sua splendida famiglia-la mamma che ha mollato tutto per seguirlo, il padre amorevole e sempre positivo e la sorella adolescente che lo adora-Auggie soffre molto a causa del suo aspetto fisico, e si sente se’ stesso solo ad Halloween, quando può sembrare mascherato come altri bambini e non è sottoposto allo sguardo (e quindi al giudizio) degli altri. Ma grazie alla sua intelligenza, riuscirà a farsi degli amici, nonostante gli atti di bullismo di cui è vittima.

L’originalità della bella mano registica di Chbosky sta nel suddividere buona parte del film in altrettanti capitoli intitolati con il nome dei vari personaggi minorenni. Partendo ovviamente dal protagonista, conosciamo così poi sua sorella Via, poco calcolata dalla famiglia, troppo presa dal fratello; il suo amico di scuola Jack Will; Miranda, amica del cuore della sorella ;tutti personaggi descritti a fondo e di cui regista mostra il singolo punto di vista. E inoltre è efficace nel mostrare le fantasie nelle quali Auggie si rifugia nei momenti di crisi, come il sogno di essere un astronauta o quello di incontrare Chewbacca (è un fan di Guerre Stellari). Un film interamente costruito ad altezza di bambino che fa della gentilezza verso gli altri il suo leit motiv. E sebbene il tema della deformazione fisica non sia nuovo al cinema (“The mask” e “The elephant man”), e ben si presti a commuovere facilmente, l’opera di Chbosky non spinge mai l’acceleratore sul pedale della melensaggine, anzi (salvo forse nel finale) mantiene un rigore narrativo che coinvolge e commuove senza mai far piangere a tutti i costi. Merito certo della bella sceneggiatura, ma sicuramente dei suoi protagonisti, in primis il piccolo Jacob Tremblay (già visto nel pluripremiato “Room”) e tutti gli altri ragazzini; della già citata Roberts, sempre più matura ed espressiva nonostante i segni del tempo si notino ormai sul suo bel viso,conferendole però maggiore espressività; di un efficace Owen Wilson, mai così maturo. Un film da vedere insieme ai propri figli, che ha tanto da insegnare e che scalda il cuore.
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